Il punto di rottura scoppia nelle parole di un’amica di scuola di Emanuela.
Parla per la prima volta, in forma anonima. Quello che dice è sconvolgente, nel rammarico di non averlo fatto all’epoca dei fatti.
«Pochi giorni prima della sua scomparsa – il 22 giugno 1983 -, Emanuela mi racconta di essere stata infastidita, ovvero di aver ricevuto “attenzioni sessuali”, da parte di un prelato vicino al Papa».
Una confessione che Emanuela aveva fatto alla sua amica, ma di cui non aveva parlato in famiglia.
Emerge, così, un dato che apre a una nuova potenziale pista/motivazione alla base del rapimento della giovane cittadina vaticana.
Un rapimento, da quanto emerge nella serie disponibile su Netflix, fatto passare per una questione di terrorismo internazionale, politico-mafiosa.
Il giornalista Andrea Purgatori è una delle guide all’interno della narrazione, lui che da giovane cronista de “Il Corriere della Sera” si occupò del caso.
A dare voce alle varie fasi di un mistero vergognoso, ci sono i fratelli Pietro, Natalina, Federica, Maria Cristina e la madre di Emanuela, Maria, che chiedono verità riportando a galla grovigli su grovigli, intrighi intricati, di una storia su cui ancora oggi non si vuole fare piena luce.
Emergono nel racconto tante piste irrisolte e altrettanti depistaggi.
Diverse le testimonianze che si susseguono nell’arco delle puntate della serie in onda in 160 Paesi in tutto il mondo.
Inquietanti quelle del cosiddetto “americano”, della compagna di Enrico De Pedis, boss della Banda della Magliana, che avrebbe ospitato Emanuela dopo il rapimento.
Ad un certo punto, poi, il giornalista Emiliano Fattipaldi, mostra un documento del Vaticano che testimonierebbe le spese sostenute per mantenere la giovane in Inghilterra in un “riparo ecclesiale”: spese di vitto e alloggio, spostamenti, visite mediche, in un arco temporale che arriva al 1997, quindi per ben 14 anni. C’è anche una voce di spesa che recita: per “pratiche finali”.
«Sono stato tradito da chi ho servito» dice Ercole Orlandi, il papà di Emanuela, in punto di morte. Lui, che ha avuto piena fiducia nella Chiesa e in chi l’ha guidata negli anni. Lui, commesso della Prefettura della casa pontificia del Vaticano, la cui famiglia ha servito ben 7 Papi.
Siamo nel 1983 e da allora il mistero di Emanuela ha attraversato 3 pontificati senza che sia stato fatto davvero qualcosa per ripristinare la verità sul caso: quello di san Giovanni Paolo II, Pontefice dell’epoca della sparizione; quello di Benedetto XVI, oggi venuto a mancare e il cui pontificato è stato segnato, tra le altre cose, dall’emersione di scandali legati alla pedofilia nella Chiesa; quello di Papa Francesco, che nella serie si vede nella sua prima domenica da Vescovo di Roma, quando dopo la messa nella parrocchia di Sant’Anna in Vaticano, parrocchia degli Orlandi, salutò la mamma e il fratello di Emanuela dicendo loro: «Sta in cielo».
In ogni frammento emerge lo strazio di un dolore ancora vivo, insopportabile per quanto non sia considerato. Soprattutto da chi potrebbe aiutare a fare chiarezza, ma nulla ha fatto, nulla fa.
«Essere a conoscenza, rimanendo in silenzio, non allontana dalle responsabilità – dice Pietro Orlandi in un’intervista -. Noi non smetteremo di cercare Emanuela, non smetteremo di cercare la verità».
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